Energia inghiottita dai segni cumulati nel colore, mossi a stabilire il passaggio di una presenza, il verificarsi sentito di un’esistenza. Ad informare che erre inconfutabilmente c’è, tenutaria di un attivo accostarsi alla pittura informale che è punto distintivo del suo essere donna, nonché artista con l’obbligo morale – e non la velleità – di lasciare il segno, un solco quanto più profondo all’interno della realtà.
Quella realtà che per erre deve necessariamente contenerne altre, ché altrimenti risulterebbe eccessivamente limitativa, asincrona rispetto ad una ricerca che mira a scandagliare le possibilità espressive di un altrove ancora da scoprire.
O più umilmente da imparare, come l’artista pare suggerire nello sviluppo invasivo di colori pesantemente impastati, condizionati dal gesto e dalla trascrizione fisica di questo in segno narrante. Che non lascia spazio e scampo all’incredulità di quanti ancora scelgono di mettere al bando ciò che non ha forma definita, poiché proverbialmente non coinvolto nelle loro certezze. E che invece è già insito in esse più di quanto non credano, non come astrazione in quanto tale, ma come concreto punto di partenza per liberarsi delle convinzioni formali, trampolino di lancio per oltrepassarne di slancio i confini.
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